L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) considera l’infertilità una patologia e la definisce come l’assenza di concepimento dopo 12/24 mesi di regolari rapporti sessuali mirati e non protetti.
L’infertilità in Italia riguarda circa il 15% delle coppie (nel mondo, circa il 10-12%) e circa il 15% delle infertilità maschili ed il 10% di quelle femminili riconoscono una causa genetica, incluse anomalie cromosomiche e varianti patogenetiche di singoli geni. Nel 25-30% delle coppie le cause dell’infertilità rimangono sconosciute (e l’infertilità, in questo caso, viene definita idiopatica).
Ormai da diversi anni la Società Italiana di Genetica Umana (SIGU) ha emanato linee guida che prevedono l’inserimento della consulenza genetica all’interno dei percorso diagnostici previsti nell’ambito di una Fecondazione Medicalmente Assistita (PMA), con il duplice obiettivo, da un lato, di caratterizzare eventuali cause genetica dell’infertilità di coppia, dall’altro, di valutare e informare la coppia sui loro rischi riproduttivi (il rischio di trasmettere anomalie genetiche ai figli) e sulle possibilità di monitorarli.
Tra le possibili cause genetiche per infertilità maschile o femminile, appaiono relativamente frequenti le anomalie cromosomiche di numero o struttura e alcune alterazioni di singoli geni malattia.
In particolare, nella coppia infertile, l’identificazione di una possibile causa genetica passa attraverso alcuni test genetici diagnostici, I principali test dei quali hanno ormai assunto le caratteristiche di uno screening consigliato da linee guida e raccomandazioni di società scientifiche, prevedendo l’esecuzione di:
- cariotipo per entrambi i partner, perchè anomalie cromosomiche sono significativamente maggiori nei maschi infertili, fino ad un 8%, e nelle femmine infertili, fino ad un 5%, rispetto alla popolazione generale (dove l’incidenza è di 1 persona su 150
- ricerca di varianti patogenetiche del gene CFTR (gene implicato per mutazioni nella patogenesi della condizione nota come fibrosi cistica) almeno per il partner maschile (test di I livello), cui fare seguire un test di II livello al partner femminile in caso di identificazione di una mutazione nel maschio.
- l’accertamento per assenza di tratto per emoglobine patologiche in almeno uno dei partner.
Una valutazione dei rischi riproduttivi correlati alla storia personale e/o familiare ovviamente potrà richiedere test genetici mirati, alcuni relativamente routinari (come la ricerca di microdelezioni del cromosoma Y in caso di importante alterazione della spermatogenesi: azoospermia o oligospermia severa), altri di più rara necessità di esecuzione, riferibili ad accertamenti per condizioni genetiche per le quali potrebbe emergere l’esigenza di attenzione in sede di colloquio.
Nelle valutazioni del percorso, infine, vengono trattati i possibili interventi di diagnosi prenatale, ed eventualmente di preimpianto, maggiormente indicati per la coppia, con discussione di vantaggi e limiti di ogni opzione e particolare attenzione ai rischi correlati all’età materna e paterna ed ad eventuali tratti genetici di rischio della coppia.
Con l’eccezione di test considerati di screening, non esiste un unico approccio diagnostico da proporre alle coppie che presentano una infertilità di origine genetica. Ogni possibile causa deve essere valutata singolarmente ad identificare percorsi diagnostici e soluzioni mirate sia al percorso PMA, sia per successivi monitoraggi in gravidanza. Il genetista in accordo con i ginecologi e con tutto il team di sostegno nei percorsi di PMA offrirà alla coppia gli strumenti per comprendere la condizione di base e ogni passo del percorso riproduttivo disegnato per la singola coppia.
La diagnosi genetica preimpianto.
Vanno distinti almeno due tipi di, così detta, diagnosi genetica preimpianto (PGD): una diagnosi genetica preimpianto vera e propria ed uno screening genetico preimpianto.
Per quanto riguarda il primo tipo, detto anche PGT-M, questo è proponibile per le coppie nelle quali sia stato documentato un rischio significativo riproduttivo (25-50%) per una specifica e ben documentata patologia genetica.
Ad esempio, se nella coppia, per uno dei partner è stata caratterizzata una patologia genetica a trasmissione autosomica dominante (in questo caso, un genitore affetto può trasmettere la malattia con un rischio del 50% dei figli indipendentemente dal sesso: ad es. la Corea di Huntington o condizioni di aumentata suscettibilità allo sviluppo di alcuni tumori), oppure se la coppia avesse avuto un precedente figlio affetto da una patologia genetica autosomica recessiva (AR) o in ogni caso i partner sappiano di essere portatori di condizioni AR (due genitori portatori sani possono trasmettere la malattia ed avere figli affetti indipendentemente dal sesso con un rischio del 25%: ad esempio per Fibrosi Cistica o per Talassemia) o recessiva legata al cromosoma X (con la madre portatrice di una anomalia genetica sul cromosoma X che, trasmette la malattia con rischio del 50% nei figli maschi che risulteranno affetti, mentre il 50% delle figlie femmine risulteranno portatrice come la madre: ad esempio, per la condizione nota come X-Fragile).
Un approccio diagnostico simile, definito PGT-SR, è disponibile anche per le coppie nelle quali uno dei partner risulti portatore di una traslocazione bilanciata che può “sbilanciarsi” nei figli e comportare rischi per abortività spesso ricorrente o difetti, spesso severi, alla nascita.
Negli ultimi tempi, inoltre, in ambito PMA è invalso l’uso di proporre per tutte le coppie uno screening preimpianto definito PGT-A. Si tratta di una indagine eseguita utilizzando diversi metodi ed effettuata al fine di impedire il trasferimento di embrioni in cui venga dimostrata una anomalia cromosomica. In definitiva, mira a migliorare il tasso di riuscita, con diminuzione dei mancati impianti e/o degli aborti spontanei. Riguardo quest’ultimo approccio, la comunità scientifica è ancora divisa e, in ogni, caso, appare essenziale far precedere l’applicazione di tali tecniche da una consulenza genetica che spieghi alla coppia i vantaggi e i limiti di quanto proposto o proponibile in modo da eventualmente procedere con un loro consenso realmente informato.
Carrier Screening (CS) ed Expanded Carrier Screening (ECS) in ambito riproduttivo-
Con il termine “screening del portatore” o “carrier screening” (CS) si intendono test genetici tesi all’identificazione di soggetti portatori di patologie recessive. Questo tipo di indagine è rivolto sia ad individui singoli, sia a coppie in età riproduttiva, che non presentano una storia familiare o personale per malattie genetiche, infatti, nel caso di uno specifico rischio genetico la persona o la coppia dovrebbero essere seguiti nell’ambito di una consulenza genetica indirizzata alla diagnosi in questione. L’approccio di screening invece è rivolto ad individuare portatori sani di patologie genetiche che presentano una frequenza elevata nella popolazione generale o in specifiche sottopopolazioni con rischio elevato (es. popolazioni in zone malariche con elevata frequenza di emoglobinopatie/talassemie, popolazioni note per elevata frequenza di specifiche condizioni genetiche).
Per “screening esteso del portatore” o “expanded carrier screening” (ECS) si intende un test genetico più esteso che ha lo scopo di identificare i portatori di decine, talora centinaia, di condizioni genetiche recessive, sia autosomiche che X-linked. Al momento non esiste alcuna raccomandazione da parte di Società scientifiche (compresa la Società Italiana di Genetica Umana-SIGU, di cui riportiamo le posizioni) per l’impiego universale dell’ECS per tutte le coppie.
I destinatari di questo tipo di test sarebbero tutte le coppie in età riproduttiva intenzionate ad intraprendere un percorso procreativo, naturale o attraverso fecondazione medicalmente assistita (PMA), con particolare attenzione alle coppie formate da consanguinei, data la maggiore probabilità per loro di trasmissione ai figli di condizioni recessive. Inoltre, nello specifico ambito della PMA, il CS/ECS riveste un ruolo importante per i percorsi di donazione di gameti (fecondazione eterologa), dal momento che un singolo donatore può dare origine ad un maggior numero di concepimenti rispetto al percorso omologo.
E’ opportuno che la selezione dei geni-malattia inclusi in un CS/ECS tenga conto di tutti i seguenti criteri:
- le patologie che vengono ricercate devono essere associate ad un fenotipo ben definito (ben documentata correlazione genotipo-fenotipo)
- le patologie devono determinare un effetto sfavorevole sulla qualità/durata di vita
- le patologie devono essere causative di deficit a livello cognitivo e/o fisico
- le patologie devono richiedere un intervento medico e/o chirurgico
- le patologie devono presentare un esordio precoce (ovvero, patologie ad esordio tardivo non
dovrebbero essere incluse nei pannelli) - per le patologie deve essere disponibile un adeguato percorso di diagnosi prenatale/test genetico preimpianto.
La consulenza genetica è parte integrante dell’offerta diagnostica, per informare adeguatamente la coppia in epoca preconcezionale dell’esistenza di test di screening del portatore. A prescindere dal metodo di screening utilizzato, pannello genico/WES, il test di screening del portatore non può prescindere da una consulenza genetica pre-test. Inoltre, il ruolo del genetista clinico prevede anche la presa in carico della coppia, a seguito del risultato del test (consulenza post-test). Nel caso di un risultato positivo del CS/ECS in uno o entrambi i membri della coppia la consulenza post-test è fondamentale per valutare, caso per caso, la necessità e l’opportunità di eseguire test di conferma e/o di approfondimento.
Consulenze Genetiche
Dr. Alfredo Orrico
medico genetista
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